Athlon Settembre Ottobre

L’EVENTO KARATE

scientifica degli allenamenti non solo

era più sicura, ma generava anche

performance agonistiche superiori.

Questo successo oggettivo fu l’unica

vera forza per poter imporre e svilup-

pare l’approccio occidentale basato

sulla consapevolezza e sull’efficacia,

superando le resistenze dell’ortodos-

sia.».

Lei sostiene che il tecnico sia in-

nanzitutto un pedagogo e che la

Federazione debba fornire «cultu-

ra, generale e specifica». Come ha

tradotto questa filosofia in pratica

nella gestione degli atleti d’élite

e nella formazione dei tecnici di

base, creando un vero e proprio

modello educativo?

«Il mio approccio nasce da un’inter-

pretazione profonda del termine ‘Dō’

(La Via), che per me è essenzialmen-

te una via per formare ed educare. La

grande sfida fu convertire una disci-

plina immersa in una tradizione rigida

verso una metodologia occidentale

basata sulla scienza.

Inizialmente, i nostri successi agoni-

stici generarono curiosità. Sono stato

chiamato diverse volte in Giappone

per spiegare le nostre innovazioni,

Preparazione fisica adeguata signi-

ficava introdurre protocolli specifici

per la mobilità articolare e sviluppare

forza rapida e potenza. Questo non

solo migliorava la performance, ma

preveniva gli infortuni; le tecniche

di calcio, ad esempio, erano spesso

eseguite male con i metodi tradizio-

nali, causando problemi alle anche.

Per quanto riguarda la funzionalità

neurocognitiva abbiamo sviluppato

un tipo di combattimento complesso

che rispondeva alle reali funzionalità

del cervello: calci a lunga distanza,

pugni a media distanza e proiezioni

nel contatto. Ho scoperto che l’ot-

timizzazione era facile, bastava as-

secondare i processi neurocognitivi,

Pier Luigi Aschieri e Luigi Busà prima delle

Olimpiadi di Tokyo2020.

Campionato del mondo di Madrid 2018,

Busà in finale. Dopo questa gara voleva

terminare la sua carriera e dichiarava: “volevo

dedicarmi più alla mia vita, agli affetti più cari,

costruire una famiglia. Il DT Aschieri, però, mi

fece fare l’ultima promessa: impegnarmi per

l’oro olimpico. Accettai e poi sapete come

è andata a finire. Un caro saluto al prof, non

ho mai avuto un rapporto strettissimo con

lui, ma c’è sempre stato rispetto da ambo le

parti.

e funzionali. In sintesi, il ‘seme della

scienza’ che ha distinto il mio lavoro

è sempre stato la mia stessa prepara-

zione: un filtro scientifico attraverso

il quale ho iniziato a decodificare e

progettare il Karate, ben prima che

diventasse prassi comune.».

Lei ha ammesso di essere stato

spesso contestato dagli «ultra-or-

todossi» che non vedevano di buon

occhio la modernizzazione scienti-

fica del Karate. Quali sono state le

sfide più grandi nell’allontanarsi

da una didattica di stampo giappo-

nese per abbracciare un approccio

occidentale basato sull’autonomia

e la consapevolezza dell’atleta?

«Devo essere schietto: la chiave per

superare la resistenza degli ‘ultra-or-

todossi’ fu la dimostrazione fattuale

dell’efficacia del mio metodo.

Quando la mia società vinse i Cam-

pionati Italiani, la seconda classificata

fu l’Associazione di Vito Simmi, che

era un mio allievo. Sebbene la nostra

vittoria (proveniente da Verona, una

realtà non centrale) potesse essere

liquidata come un caso isolato, il fat-

to che un altro mio allievo si piazzas-

se immediatamente dopo non era più

Europei 2013: Michela Pezzetti, Sara Battaglia, Roberta Sodero, Pierluigi Aschieri e Viviana

Bottaro

una coincidenza.

Questa fu la nostra vera prova: riu-

scimmo a dimostrare che dei sem-

plici studenti ben formati potevano

sconfiggere atleti professionisti ap-

partenenti alle Società più blasonate.

Fu un risultato rivoluzionario. Non si

trattava più di una disputa filosofica

o di una teoria didattica, ma di un’e-

videnza sul campo: l’ottimizzazione

ma l’ostacolo principale rimase la loro

riluttanza a rinunciare alla tradizione.

Riconoscevano la validità del nostro

metodo, ma non potevano farne a

meno della tradizione.

Il nostro modello si basava su due

pilastri che mancavano alla didattica

tradizionale: una preparazione fisica

adeguata e la funzionalità neuroco-

gnitiva.