Athlon Settembre Ottobre

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senza che nessuno subisse mai un

infortunio grave. Questo, per me, è

il segnale più tangibile di aver com-

piuto il mio dovere e di aver lasciato

in eredità un approccio sportivo che

antepone il benessere fisico e la ra-

Il 10° Dan a Pierluigi Aschieri

Il DT dell’innovazione scientifica del Karate italiano

Testo e foto di Emanuele Di Feliciantonio

L’EVENTO KARATE

Il conferimento del 10° Dan corona i 42

anni di carriera di Pierluigi Aschieri e

celebra il suo merito di aver trasformato

il Karate in una scienza. Il lungo racconto

degli inizi, dell’approccio pedagogico e

della crescita di un movimento sportivo

sempre più vincente. Il rapporto con gli

atleti e la sua eredità

ierluigi Aschieri, per oltre

quarant’anni Direttore Tec-

nico Nazionale del Karate, ha

ricevuto il 10° Dan in occasio-

ne del Symposium 2025 che

non è solo la massima onorificenza

marziale, ma anche il giusto corona-

mento di una lunghissima carriera

dedicata alla ricerca del talento, alla

didattica come pedagogia e, in ultima

analisi, alla crescita culturale e moto-

ria di intere generazioni di atleti.

Sotto la sua guida, la Nazionale Italia-

na di Karate ha raggiunto picchi di ec-

cellenza internazionale, grazie all’ap-

plicazione pionieristica dei principi

della biologia, della biomeccanica e

delle neuroscienze al lavoro sul tata-

mi. Questa visione, spesso in contra-

sto con gli approcci più tradizionali,

ha trasformato il Karate italiano in

una disciplina moderna e scientifi-

camente fondata, capace di forgiare

talenti olimpici come Busà e Bottaro.

Pierluigi Aschieri è una figura che tra-

scende la mera dimensione sportiva.

Laureato I.S.E.F. e docente di Educa-

zione Fisica, ha portato la sua pro-

fonda conoscenza accademica (con

incarichi presso le Facoltà di Scienze

Motorie di atenei come L’Aquila, Ur-

bino e Padova) al servizio dell’agoni-

smo.

Il conferimento del 10° Dan è il cul-

mine di ben 42 anni dedicati alla

Federazione, attraversando tutte

le sue evoluzioni, dalla FIKDA alla

FIJLKAM. Oltre al prestigio, cosa

rappresenta per lei a livello perso-

nale e professionale questa onori-

ficenza in termini di chiusura di un

ciclo e riconoscimento del meto-

do?

«Il conferimento del 10° Dan mi ono-

ra profondamente. Tuttavia, devo

sottolineare che l’intero percorso,

durato oltre quattro decenni, è stato

guidato esclusivamente dal senso del

dovere, piuttosto che dalla ricerca di

gratificazioni personali.

La mia missione, fin da quando ero

insegnante distaccato del CONI, era

chiara: introdurre una metodologia

occidentale all’interno delle arti mar-

ziali. A quel tempo, il karate si muo-

veva in un contesto eccessivamente

autoritario e veicolava un concetto

che ritenevo profondamente sba-

gliato: che ciò che provoca dolore è

intrinsecamente positivo per la pre-

parazione.

Questa profonda convinzione mi ha

spinto a dimostrare che, al contrario,

ciò che danneggia l’atleta compro-

mette la sua salute e la sua carriera.

Credo che il vero riconoscimento,

più che il Dan in sé, risieda nel suc-

cesso del metodo. Sono riuscito a

condurre i nostri atleti nelle compe-

tizioni internazionali più prestigiose

Pierluigi Aschieri: una vita per il karate

Pierluigi Aschieri e Vito Simmi in

preparazione del vincente Campionato

italiano del 1979

zionalità alla mera ortodossia.»

La sua direzione tecnica nacque

nel 1979 da una clamorosa vittoria

della sua Società sportiva. Ha rac-

contato che la chiave fu «la pro-

gettazione e l’ottimizzazione dei

processi di allenamento». Potreb-

be descriverci in che modo questa

intuizione iniziale si è sviluppata

fino a integrare discipline come la

biomeccanica e le neuroscienze nel

quotidiano della Nazionale?

«La chiave di volta risiede integral-

mente nella mia formazione accade-

mica. Avendo completato il percorso

in Scienze motorie, avevo già acquisi-

to una profonda conoscenza di disci-

pline fondamentali come l’anatomia,

la fisiologia, la neurofisiologia e la

biomeccanica.

Era questa solida base scientifica a

impormi, in modo naturale, un ap-

proccio completamente diverso. Il

mio primo imperativo metodologi-

co, un vero e proprio caposaldo del-

la metodologia dell’allenamento, è

stata l’ottimizzazione delle risorse. Il

mio obiettivo primario era eliminare

qualsiasi gesto o pratica superflua,

concentrando l’energia dell’atleta

esclusivamente su obiettivi precisi